Ottenere il giusto risarcimento per le buche stradali: Proteggi i tuoi interessi
Il maggior numero di richieste di risarcimento danni presentate ai Comuni italiani deriva proprio dalle cadute accidentali in luoghi pubblici per buche stradali.
Da una parte le ragioni dei cittadini costretti a camminare con gli occhi puntati sull’asfalto per non cadere in crepe, buche, tombini e mattonelle divelte, mentre dall’altro le esigenze della pubblica amministrazione che, seppur tenuta a una costante opera di monitoraggio e manutenzione del suolo pubblico, non è in grado di intervenire tempestivamente, specie nelle grandi città.
Non è raro che succeda che la presenza di una fossa risulti solo dopo che qualcuno c’è caduto dentro. E proprio indagando fra le righe di questa ultima affermazione deduciamo il primo principio stabilito dalla giurisprudenza.
Non si possono chiedere i danni per la caduta accidentale in un luogo pubblico (una strada, una scalinata, un marciapiede, ecc.) se il pericolo era facilmente visibile.
Insomma di insidia stradale si deve parlare quando questa è nascosta o comunque, utilizzando la normale condotta del buon padre di famiglia, inevitabile.
A norma del Codice della Strada (Fonte: ACI), l’ente proprietario del suolo deve garantire la sicurezza, la manutenzione e la pulizia delle strade, ma il Codice Civile stabilisce che ciascuno è responsabile dei danni procurati dalle cose che ha in custodia (quindi anche il suolo pubblico), salvo che provi che il fatto è avvenuto per il cosiddetto “caso fortuito”.
E quale potrebbe essere il “caso fortuito” riconosciuto ad un Comune?
Per rispondere ricorriamo al principio prima citato e cioè che il “caso fortuito” che esonera il Comune dalla responsabilità per la caduta accidentale del passante in luogo pubblico, è l’imprudenza del passante stesso.
Non è possibile ammettere un risarcimento per danni imputabili a colpe altrui.
Bisogna quindi stabilire quando si configura tale imprudenza ed il che significa delimitare la colpa della pubblica amministrazione, individuando prima i confini dei doveri di diligenza del cittadino: nel caso questi siano stati osservati, tutto il resto ricade nella responsabilità dell’ente titolare della strada, ovvero in linea di massima il Comune (se ci troviamo in città).
Non così scontato come può sembrare, prima di avviare una richiesta di risarcimento per danni, è identificare la titolarità del suolo.
Può succedere, infatti, che uno spiazzo o un parcheggio, solo perché aperti al pubblico, appaiano di proprietà pubblica mentre invece sono privati. Ancora una volta sarebbe buona norma rivolgerci ad un professionista del risarcimento, perché in difetto, saremmo noi a dover far le indagini per accertarci di chi sia la responsabilità e perdere tempo prezioso.
Per facilitare la comprensione, vi facciamo un esempio. I marciapiedi adiacenti ai palazzi possono essere di proprietà dello stabile stesso, ma la Cassazione ha più volte detto che gli obblighi di manutenzione dell’ente pubblico, proprietario di una strada aperta al pubblico transito, al fine di evitare l’esistenza di pericoli occulti, si estendono anche ai marciapiedi laterali, i quali fanno parte della struttura della strada, essendo destinati al passaggio dei pedoni.
Quali sono le regole da considerare per poter richiedere il risarcimento per buche stradali?
Evidenziamo fin subito che il primo dovere del passante è quello di adeguare la propria andatura al luogo ove si trova: non si può usare un marciapiede come pista ciclabile o come pista per gli skate-board e non consentito dal Codice della strada, dunque, eventuali cadute non possono essere risarcite. Si può camminare a passo svelto (ma non messaggiare allo smartphone o leggere un libro e prestiamo attenzione perché ultimamente la Cassazione è intervenuta in merito a richieste di risarcimento per disattenzione dovuta all’uso del cellulare anche a piedi) e anche correre per esigenze impreviste, ma la prudenza deve aumentare tanto più veloce si procede.
E da qui deriva un secondo principio fondamentale per la richiesta danni, ovvero che tanto più la buca è grande tanto meno c’è possibilità di chiedere il risarcimento poichè se è vero che si tratta di una grossa crepa, è anche vero che di questa ci si poteva facilmente accorgere e che l’eventuale caduta è stata dovuta alla disattenzione del passante. E quindi è controproducente sostenere che la buca in cui si è finiti con tutto il piede era di dimensioni ciclopiche proprio perché le sue dimensioni riducono le chance di vittoria.
La giurisprudenza infatti sostiene che, per farsi risarcire, bisogna dimostrare che l’ostacolo era una “insidia celata o nascosta”, ossia un fattore non visibile e imprevedibile (una sottile crepa, un gradino che, seppur apparentemente normale, era in realtà “scollato”, un tombino coperto dal fogliame, ecc.).
Terzo principio da analizzare e non sottovalutare è la luminosità della zona: anche una buca grande, in una zona poco illuminata di notte, può costituire una “insidia stradale” celata dal buio” (in fase di accertamenti infatti verranno verificate le condizioni di tempo in cui si è verificato l’incidente, se di notte, in assenza di luce solare o comunque in luogo scarsamente illuminato).
Ultimo principio non meno importante, ma spesso dimenticato, è la notorietà di un pericolo in un percorso o in una zona abitualmente frequentata o percorsa frequentemente. Questo significa, sempre secondo la Cassazione, che chi cade in una buca in un luogo da questi sempre frequentato (ad esempio la strada antistante casa o il luogo di lavoro) ed in una insidia da tempo presente, è consapevole dell’esistenza del pericolo e tenuto a prestare maggiore attenzione.
Citiamo anche, per precisione, che chi sceglie di percorrere una strada in vistoso stato di dissesto lo fa a proprio rischio e pericolo: tanto più è evidente che la via è pericolosa, tanto maggiore deve essere il grado di accortezza del passante, che se cade, non può che prendersela con se stesso per non aver scelto un’altra direzione.
Quali elementi esonerano il Comune dal risarcimento del danno?
Esistono purtroppo però altri elementi che esonerano il Comune dal risarcimento del danno per la caduta accidentale in luogo pubblico e sono i cosiddetti “tempi tecnici” necessari alla manutenzione o alla segnalazione del pericolo ai pedoni.
Infatti, in presenza di una macchia d’olio o di una lastra di ghiaccio, non c’è dubbio che l’amministrazione debba assicurare il suolo ai passanti, ma deve avere anche la materiale possibilità di farlo, quindi non può risarcire i danni creatisi nell’immediatezza.
L’esempio più classico è quello del mezzo che perde del materiale liquido scivoloso e l’auto che lo segue vi scivola: non si può imputare in questo caso la responsabilità al Comune che non ha provveduto a mettere in sicurezza la strada (questo tempo va riconosciuto anche alla più efficiente delle amministrazioni per ordinare a una squadra di operai di accorrere sul posto e mettere recinzioni o riparare la buca).
A chi spetta l’onere della prova?
Concludiamo sottolineando quindi quanto già detto mettendo in guardia i lettori dall’avviare cause temerarie, che potrebbero solo costargli soldi senza ricavarne nulla: il principio su cui si basa il processo Civile italiano è l’onere della prova e spetta al danneggiato dimostrare non solo la presenza dell’insidia e l’avvenuta caduta, ma anche che detta caduta è avvenuta a causa dell’insidia e non di altre ragioni. Questo significa che la presenza di un testimone oculare presente al momento del sinistro che possa affermare, davanti al giudice, di aver visto il danneggiato cadere sulla buca è praticamente fondamentale per avere chance di vittoria. Ribadiamo chance, mai la certezza…